L’affascinante mito del Cavaliere che dominò per primo sul Monferrato
Conosci la Leggenda di Aleramo? No? Allora leggi e scopri il mito legato all’uomo che dominò per primo sul Monferrato!
Visitando il Monferrato, sentirai spesso parlare di Aleramo e della sua dinastia che governò questa terra per molti secoli. Storicamente di lui non si sa molto se non qualche notizia da pochi documenti imperiali. Forse è per questo che è nata una leggenda che viene tramandata nel Monferrato di padre in figlio da secoli. Questa storia riportata per primo dal frate domenicano Iacopo d’Acqui, nell’800 affascinò anche Giosuè Carducci che la inserì nella sua opera Cavalleria e Umanesimo.
La Leggenda di Aleramo: nascita e infanzia
La leggenda di Aleramo inizia narrando che il nobile tedesco Aldeprando e la moglie incinta si stavano recando a Roma per sciogliere un voto. I due si trovarono a passare per Sezzadio, un paese vicino ad Acqui Terme, quando la donna fu colta dalle doglie. Qui viene ospitata nel castello dai signori del luogo, dove da alla luce un bel bambino a cui viene dato il nome di Aleramo. Dopo un paio di mesi la coppia riprese il cammino verso Roma, lasciando però il piccolo alle cure di una balia del paese.
Durante il viaggio di ritorno però qualcosa andò male e di loro non si seppe più nulla: forse caddero vittime di una malattia oppure di un agguato dei briganti. La balia aspettò per molto tempo il loro ritorno fino a quando anch’ella morì. Il piccolo Aleramo fu accolto allora dai padroni del castello di Sezzadio che se ne presero cura e lo crebbero come fosse un loro figlio educandolo come un vero cavalliere. Giunto all’età di 15 anni, Aleramo fu ritenuto degno di diventare scudiero di uno dei nobili della corte di Sezzadio.
Aleramo alla Corte dell’Imperatore
Intanto l’imperatore Ottone I era sceso in Lombardia per sedare una rivolta dei nobili bresciani. Ottone chiese ai nobili suoi fedeli che gli procurassero un certo numero di scudieri per la corte. Il signore di Sezzadio non mancò alla richiesta dell’imperatore e mandò Aleramo. Giunto dall’imperatore il giovane fu notato subito per i suoi modi eleganti e il suo fare gentile. Ottone lo fece avvicinare e gli chiese chi fosse. Aleramo allora si presentò e raccontò la sua triste storia all’imperatore ne fu così colpito che decise di farlo entrare nella sua corte.
Il giovane, bello e cortese, attirò immediatamente l’attenzione di tutte le nobildonne della corte. Una in particolare sembrava essere attratta dal giovane Aleramo: Adelasia, la bellissima figlia dell’imperatore. La fanciulla era la prediletta di Ottone che l’avrebbe voluta sposa di qualche nobile prestigioso, magari per sancire qualche importante alleanza politica. I due però cominciarono a frequentarsi e inevitabilmente si innamorarono intensamente.
La Leggenda di Aleramo: La fuga di Aleramo ed Adelasia
Il loro amore era diventato così profondo che Adelasia non avrebbe resistito ad una loro separazione. La fanciulla quindi propose all’amato di fuggire lontano dalla corte e di iniziare una nuova vita in un luogo lontano e sicuro; infatti sapeva che suo padre non avrebbe mai accettato che la sua figlia prediletta si sposasse con un semplice scudiero. Aleramo accettò anche se soffriva all’idea di provocare un così grande dolore ad uomo che era stato così buono e comprensivo nei suoi confronti.
Una notte dunque i due abbandonarono di nascosto la corte su due cavalli, uno bianco e uno rosso. Appena Ottone si accorse della fuga, si adirò moltissimo e mandò al loro inseguimento subito i suoi uomini. Dopo molti giorni di precipitosa fuga, si fermarono arrivarono sui monti dell’Appennino tra Piemonte e Liguria, dove Aleramo accompagnava i signori di Sezzadio a caccia. Da quei boschi si vedeva l’antica Alassio, anticamente detta Lamio, che sarebbe stata ribattezzata con il nome odierno in onore Adelasia e della sua vicenda.
La Leggenda di Aleramo continua raccontando della vita difficile dei due fuggiaschi in quel territorio impervio; avevano pochissimo da mangiare e nemmeno un riparo in cui vivere alla meglio. Aleramo costruì allora una capanna di tronchi e arbusti e per vivere si adattò a fare il carbonaio, vendendo il carbone sul mercato di Albenga. La sua innamorata invece era brava a ricamare e poteva rivendere i suoi lavori alle donne della riviera, ricavandone qualche soldo per tirare avanti. Un giorno però Aleramo andò a vendere il carbone al vescovo di Albenga che notò i suoi modi gentili e lo fece immediatamente entrare nella sua servitù.
Il ritorno di Aleramo
Dopo qualche anno però l’imperatore Ottone tornò a chiedere agli alleati uomini per fronteggiare un’altra rivolta dei Bresciani. Il vescovo quindi decise di mandare a corte alcuni cavalieri con al seguito una parte della sua servitù, tra cui Aleramo con il compito di aiuto-cuoco.
Durante uno scontro armato il nipote prediletto di Ottone rimase isolato e fu catturato dai sediziosi bresciani. Essi minacciarono di ucciderlo se l’imperatore non si fosse ritirato. Aleramo, sentendosi in debito con il sovrano, non ci penso due volte, prese un cavallo e cavalcò fino all’accampamento nemico. Qui fu accolto con scetticismo e deriso dai nobili bresciani (dopotutto era soltanto un aiuto-cuoco). Nonostante la prima impressione riuscì con la sua gentilezza e la sua abilità con le parole a convincere i bresciani a farlo rilasciare senza alcun danno.
Al ritorno del nipote all’accampamento imperiale Ottone chiese chi fosse colui che aveva liberato l’amato nipote. Nessuno dei cavalieri però rispose. Allora si fece avanti uno dei cuochi che disse che era stato il suo aiuto-cuoco. Fatto condurre al cospetto del severissimo Ottone, Aleramo, tutto nero e sporco, dovette rivelare la sua identità con il rischio di innescare l’ira del signore. L’imperatore, non si adirò, ma anzi si alzò e lo abbracciò addolcito dal sua racconto. Subito dopo mandò a prendere Adelasia e i nipoti che non aveva mai conosciuto (nel frattempo la coppia aveva messo al mondo ben quattro figli). Al genero e ai nipoti Ottone diede il titolo di cavaliere; inoltre assegnò come loro simbolo una balzana di color rosso e bianco segno del valore e della fede di tutti gli eredi di Aleramo. La Leggenda di Aleramo arriva al clou proprio ora!
La Leggenda di Aleramo: la nascita del Monferrato
In segno di stima e riconciliazione, Ottone volle poi concedere al genero il titolo di marchese. Ma come marchese aveva bisogno di una marca, cioè di una territorio da governare. Ottone disse così ad Aleramo che avrebbe ottenuto un territorio tra la Liguria e il Piemonte vasto quanto la distanza che sarebbe stato in grado di coprire a cavallo nell’arco di tre giorni e tre notti.
Aleramo cavalcò così per tre giorni su tre cavalli diversi in giro per il basso Piemonte e la Liguria, tracciando i confini di quella che sarebbe diventata la sua marca.
Non tutto, però, andò liscio. Ad un certo punto il cavallo di Aleramo perse un ferro in una zona disabitata. Non c’erano dunque fabbri in giro e il cavaliere non aveva gli strumenti adatti. Si arrangiò, quindi, con un mattone che nella lingua piemontese dell’epoca si chiamava “Mun” e con esso ferrò il cavallo (“Frrha”). Da questa gesto deriva quindi il nome Monferrato.
Da quel giorno per alcuni secoli gli Aleramici dominarono su questo splendido territorio, rendendolo ricco e importante.
Ora ogni volta che passerai nel Monferrato ricorda la Leggenda di Aleramo e immaginalo cavalcare sulle sue dolci colline!